SPAZIOSTUDIO presenta la collettiva
BODY OF KNOWLEDGE - LUCE SULLA PELLE
Artisti: Allegra Betti van der Noot, Alex Castelli, Deborah Savoie Giulini, Harlow Tighe
Dal 12 al 20 Dicembre 2008
PROLUNGATA fino al 10 gennaio 2009
RASSEGNA STAMPA
COMUNICATO STAMPA
BODY OF KNOWLEDGE: LUCE SULLA PELLE
Le particelle che compongono la luce rimbalzano dagli oggetti che ci circondano per registrare le immagini sulla nostra retina. Lo spettro visibile all’occhio umano non è uguale per tutti, ma varia soggettivamente. Sappiamo dalla fisica quantistica che la luce interagisce attivamente con la materia in uno scambio energetico a folle velocità. Ed è proprio questo luogo di contatto, il come di questo scambio, l’oggetto di ricerca delle quattro artiste presenti nella mostra BODY OF KNOWLEDGE: LUCE SULLA PELLE, una collettiva di due pittrici e due fotografe intente a catturare l’attimo in cui la luce illumina, disegna, localizza il nostro sguardo sul corpo umano.
Allegra Betti van der Noot, pittrice, milanese, naviga lungo una rotta diretta alle isole Ionie della sua infanzia, ma sono isole che appartengono unicamente ai catasti dell’anima dell’artista, come la coscienza del corpo femminile. Quando l’isola/corpo esce dal supporto bidimensionale si staglia finalmente libera, ritagliando i suoi confini nell’aria, ridisegnando le sue coste, proiettando ombre come echi sul muro retrostrante. Dondola dolcemente, sospesa nello spazio, questa nuvola di donna, approdo saturo di un colore rosa così intenso che rimane definitivamente impresso nella retina.
Alexandra Castelli, pittrice, ligure/newyorkese, vive e lavora a Ibiza da dieci anni.
La serie di oli su tela APNEA ha origini tra le acque di Southampton, e Ibiza. L’artista ripercorre col pennello il tragitto specifico della luce, disegnando merletti di luce sul corpo, tatuando l’onda e le sue maree sulla pelle. Il corpo si distorce nell’acqua, si sfalda, per ricomporsi azzurro sotto alla superficie. La luce spezzata dall’acqua ne disfa i confini, dislocando il nesso spazio-tempo, mettendo in dubbio l’unità corpo-anima-realtà. La figura si rivela come una cartina topografica, ritrova la sua appartenenza al mare, marea dell’anima, disegnata come una carezza incerta del pennello sulla pelle.
Deborah Savoie Giulini, fotografa, canadese, descrive con un pennello ciò che la lente poi trascrive nel fotogramma. La pittura bianca sulla pelle nera conferisce un senso spettrale al movimento del corpo. La mano di Michael Dye dipinge sulla superficie un segno che contraddice il gesto del corpo, ci distrae dalla sua forma, che però è realtà. Vorremmo seguire la scia della pennellata, ma la curva del gomito o della nuca ci trascinano altrove in un susseguirsi di chiaroscuri. E la traiettoria del pensiero lascia una scia di luce che congiunge il luogo di origine a quello di arrivo, una traccia spumeggiante e luminosa che rimane nell’aria, catturata tra le quattro mura del fotogramma.
Harlow Tighe, fotografa, americana del South Carolina, appoggia le sue modelle su enormi distese di carta dipinte con un’emulsione fotosensibile e le espone al sole della Liguria, o del Messico. Può fare questi lavori solo d’estate perché è il sole che disegna le sue immagini, ed è il corpo che trasforma la sua luce sulla superficie. Le sue immagini uniche ed effimere, chiamate kallitipie, ricordano i rayogrammi di Man Ray o i fotogrammi di Maholy Nagy. Registrano l’ombra del corpo interponendolo alla luce del sole. Ironicamente, il punto stesso in cui il corpo appoggia maggiormente il suo peso è il punto di massima illuminazione. Fantasmi di luce disegnati dall’assenza di esposizione/colore galleggiano su uno sfondo pittorico seppiato, in una composizione organizzata, sviluppata e ricomposta con spasmodica attenzione per ricreare un gesto, un attimo, una figura evanescente.
INFO
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